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La Gonartrosi

Per gonartrosi o artrosi del ginocchio, si intende I’ artropatia degenerativa localizzata in questa articolazione diartrale.                 
 Per poter comprendere bene la patologia di questa articolazione, si devono tener presenti alcune sue caratteristiche anatomo-fisiologiche:

 1)   l' articolazione  del ginocchio  è   costituita da due articolazioni   sinergiche,   cioè  dall'articola­zione  femoro-tibiale  e  dall’articolazione, femoro-rotulea.

2)E' un’articolazione integrata dalla presenza dei menischi capaci, con una patologia propria, di indurre una sofferenza artrosica. Per molti; autori, è la più frequente forma di artrosi, con una preferenza netta per il sesso femminile. Tutti gli autori sono concordi nel fissare attorno alla 50ina, l’ età di maggiore incidenza della gonartrosi con netta preferenza le forme bilaterali ( 60% ). Parlando di gonartrosi si possono distinguere più forme date da:

  •  alterato carico, dovuto ad un valgismo o varismo del ginocchio.

  •  esito a lesioni dei legamenti interni del gi­nocchio, generalmente per lesioni meniscali o le­sioni dei legamenti collaterali.

  • Alterazioni morfologiche come, esiti di fratture dei piatti tibiali, dei condili femorali,ecc.

  •  Malattie che hanno portato ad un’ alterazione pro­fonda della sinovia e quindi della nutrizione articolare, come: le artropatie emofiliche,I’ ar­trite reumatoide, reumatismi articolari cronici. Inoltre fra i fattori coadiuvanti, sono da annove­rare: 
La menopausa; i disturbi della circolazione ve­nosa; l' obesità.

Possono esistere forme di artrosi giovanile e forme senili. Ciò perche nell' età senile sono frequen­ti le cause vascolari aterosclerotlche che possono portare all’ artrosi ed inoltre perché le alterazoìni artrosiche impiegano, un lunghissimo tempo per di­ventare clinicamente evidenti. L’ artrosi può col­pire tutte le articolazioni, ma soprattutto quel­le sottoposte a carico. La cartilagine articolare, come tutte le cartilagini, consta di cellule immerse in una sostanza fondamentale, costituita da micropolisaccaridi entro cui sono immerse fibril­le collagene. Tale cartilagine viene ad essere al­terata nella sua composizione strutturale o nelle sue caratteristiche meccaniche. La sostanza fondamentale della cartilagine si modifica con l’ età, invecchiandosi e diventando meno ricca di acido controinsolforico. Essendo la cartilagine priva di vasi essa riceve il nutrimento attraverso il liqui­do sinoviale, in cui scarica anche i cataboliti. L’ osso che sottostà alla cartilagine alterata rea­gisce con la formazione dei geoidi e degli osteofiti; perciò nelle artrosi, la cartilagine scompare e I’osso sottocondrale in parte si inspessisce (scle­rosi) ed in parte diventa meno resistente per la presenza  dei geoidi. Pertanto la superficie articolare profondamente alterata ingrandisce, aumentando I’ incongruenza articolare e quindi la diffi­coltà di movimento. La gonartrosi ha una sintomatologia  cronica  e ricorrente, con periodi  di  remis­sione  ed  altri di recrudescenza, spesso concomitan­ti a strapazzi,   trami,  ecc.  La  sua  evoluzione è lenta  con peggioramento progressivo.

EZIO-PATOGENESI

II  carattere fondamentale della gonartrosi è costituito  dall' usura  e  dalla degenerazione  della cartilagine articolare. Molteplici sono i fatto­ri patogenetici che vengono invocati nel determismo delle lesioni: meccanici, traumatici, inffiammatori, vascolari, endocrini, metabolici, ereditari.
I fattori meccanici potrebbero essere responsabili della insorgenza dell’ artrosi, sia per un eccesso di lavoro articolare, sia per una cattiva qualità del gioco ar­ticolare. L’ eccesso di lavoro può risultare dall’obesità. Le distorsioni, le fratture intra-arti-colari sono cause frequenti poiché determinano emorragie e scollamento sottocondrale, incongruenza ar­ticolare, deviazione assiale della articolazione.
Molta importanza acquistano i microtraumi continua­ti.L'età è uno dei fattori predisponenti associato a turbe vascolari di carattere aterosclerotico,vista la frequente concomitanza di ipertensione ed artrosi negli adulti. E’ stata confermata la responsabilità eziopatogenetica dei fattori endocrini, soprattutto per quanto riguarda disfunzioni dell'ipofisi; del­la tiroide e soprattutto dell’ ovaio. Il ruolo delle ovaie è stato preso in considerazione per la netta predominanza femminile  della gonartrosi  e per il suo manifestarsi nella menopausa.  L'  influenza dei  fattori genetici non è esclusa; è anche possibile che I’ ereditarietà agisce indirettamente. In ultima analisi si possono  considerare fattori responsabili  della go-nartrosi: il periodo post-menopausa,   I’ età,   il sovraccarico meccanico  e  l’obesità,   e  forse  cer­ti  fattori  genetici.

ANATOMIA PATOLOGICA

Nel ginocchio artrosico all’ esame isto­logico si rilevano: macroscopicamente e nella fase iniziale, macchie giallastre, granulose di va­ria grandezza;in fase successiva la superficie ar­ticolare assume dapprima un aspetto vellutato, per la desquamazione degli strati più superficiali, poi va incontro a fissurazioni ed erosioni, fino ad ammettere col tempo, I' osso subcondrale a nudo,il quale reagisce con fenomeni di sclerosi. Microscopicamente: le prime manifestazioni sono evidenti a livello degli strati più superficiali con la lo­ro degenerazione fibrillare (perdita di omogeneità della sostanza fondamentale per smascheramento della trama fibrillare); più tardivamente,il pro­cesso degenerativo si estende agli strati più profondi. Si instaurano fissurazioni, che,  approfonden­dosi, possono raggiungere I' osso subcondrale.       
Le lesioni anatomo-patologiche non si limitano alla cartilagine articolare, ma si estendono alle strutture ossee subcondrali con una serie di alterazioni da mettere in rapporto, anche con le influenze meccaniche.
Il midollo osseo subcondrale (adiposo) viene gradualmente sostituito da tessuto fibroso, il quale può andare incontro a metaplasia cartila­ginea o ad ossificazione. Quest’ ultima costituisce l'evenienza più importante dal punto di vista fun­zionale, in quanto provoca l'ispessimento osseo. L' osso inspessito può in alcuni casi fungere da superficie articolare. Frequentemente si riscontrano nelle zone di sovraccarico le pseudocisti. La loro origine non è interpretata in modo univoco. Secondo I’ ipotesi classica, il continuo logora­mento delle superfici articolari porta allo sfondamento degli spazi midollari, che si aprono nella cavità articolare. Il tessuto vascolo-fibroso mi­dollare si lacera e versa il suo contenuto entro gli spazi midollari dove vengono sospinti anche i dendriti ossei e cartilaginei prodotti dallo sfon­damento delle superfici articolari.
 Talvolta questi materiali vengono dislogati in spa­zi midollari piuttosto profondi e successivamente, incapsulati da tessuto fibroso,, cartilagineo, osseo, con formazione delle pseudo-cisti. Altra manifesta­zione frequente sono gli osteofiti cioè neoformazio­ni ossee che originano in corrispondenza della zona marginale cartilaginea. Essi si estendono in senso centrifugo rispetto alla superficie articolare e quindi allargano l' epifisi.
Per quanto riguarda la loro formazione, si formula­no varie ipotesi accumulo di materiale catabolico o dì sfaldamento cellulare, favorisce il precipitare di sali di calcio che determinano il formarsi di un tessuto di granulazione, gli osteofiti con la loro presenza, deformano ed ingrossano l’articolazione au­mentando I’incongruenza articolare.

SINTOMATOLOGIA

II sintomo principale della gonartrosi è il dolore. Esso è di regola riferito alla rotu­la, alla faccia interna del ginocchio o anche al cavo popliteo; tra le irradiazioni più tipiche quella alla faccia antero-laterale della gamba. Il dolore si calma con il riposo per ripristinar­si improvvisamente alla ripresa del movimento.
Alla sintomatologia dolorosa il malato qualche vol­ta sostituisce un senso di instabilità.Facile l'ap­prezzamento soggettivo ed obiettivo di uno scroscio articolare. Obiettivamente il ginocchio appare ingran­dito; a questo aspetto concorre spesso la deposizione  dì cuscinetti di grasso, proprio in corrisponden­za degli sfondati sinoviali. Alla palpazione si avverte  l’ingrandimento dei capi ossei. I punti dolo­rosi sono facilmente provocabili in corrispondenza dell'interlinea articolare. Qualche volta il dolore è periarticolare; una delle zone facilmente respon­siva alla palpazione è I'inserzione tibiale dei muscoli della zampa d'oca o del legamento collate­rale mediale. All'impegno funzionale si notano le limitazioni dei movimenti attivi e passivi, e nelle forme più avanzate la presenza dei movimenti abnor­mi dì lateralità e/o in senso anteroposteriore (segno del cassetto,da lassità a rottura dei le­gamenti crociati).
Possibili seppure rari i fenomeni di blocco, per concomitanti lesioni meniscali. E' inoltre possi­bile la presenza di un idrarto, di regola modesto, specie in occasione di episodi di riacutizzazione dolorosa,non accompagnati da segni di flogosi con­consensuale delle parti molli. La miotrofia quadricipitale, pur presente, non è parti-colarmente spiccata.La puntura esplorativa darà esito ad un liquido chiaro trasparente. L’ artrosi del ginocchio può iniziare in zone differenti dell’ articolazione, realizzando ora I’ artrosi femoro-rotulea, ora la femoro-ti'biale interna, ora quella esterna o la cosidetta meniscale.

QUADRO CLINICO

E’ difficile stabilire l'epoca esatta di insorgenza dei primi disturbi della gonartrosi da­to il carattere cronico ed il lento decorso della lesione.Trattasi  in genere  di un esordio vago, ca­ratterizzato da dolori di lieve entità, cui il paziente attribuisce scarsa importanza in quanto su­scettibili di regressione in breve tempo, sponta­neamente o a seguito della somministrazione di blandi analgesici. Gradualmente la malattia prende cor­po alternando periodi di acuzie a fasi di remissione fino all' instaurarsi di quelle deformità e rigi­dità dolorose che caratterizzano il quadro clinico della gonartrosi  e dell'artrosi in genere. I va­ri  elementi  della  sindrome  artrosica  possono quindi compendiarsi in:
1)  Dolore:   dapprima lieve, saltuario, a  carattere episodico, esacerbato  da movimenti bruschi, da mo­dificazioni atmosferiche o da affaticamento:  per cui regredisce  il più  delle volte  con  il  semplice riposo;talora invece persiste nella forma più grave, tale da richiedere  l'effetto sinergico dei  farmaci e dell'immobilizzazione  assoluta.
2)  Limitazione  funzionale;   dapprima  legata al dolore, in quanto  espressione  di  reazione  antalgica;   può  es­sere facilmente risolvibile  con il regredire della sintomatologia  dolorosa.   Successivamente  la rigidità si accentua a causa  capsulo-legamentosa  e  deformità articolari.              
3)  Deformità articolari: è  evidente  sia nella fase acuta stante l'infiltrazione  sinoviale  ed in cospicuo versamento endoarticolare, sia nella fase di avanzata degenerazione  data l'ispessimento delle parti periarticolar!, la pseudo-atrofia dei capi ossei è la conseguente incongruenza.
4) Scrosci endoarticolari; sono apprezzateli sia ascoltatoriamente che palpatariamente, durante la fase della escursione articolare,di entità varia- bile a seconda del grado di evoluzione della le­sione. Espressione dell'artrito dei capi articolari irregolari ed incongruenti per le numerose produzioni osteofitiche che ne deformano il pro­filo, ostacolando il movimento.

TERAPIA MEDICA

 Non esiste alcun farmaco, né  alcun presi­dio medico-fisico capace di far regredire le lesioni  degenerative  della cartilagine e  dell'osso,che stanno alla base  dell'artrosi. Le varie terapie me­diche  e fisiche possono, al massimo,rallentare l'evoluzione delle artrosi  o mitigare, per periodi a volte lunghi, i vari disturbi  legati alla lesione degenerativa.
La terapia della gonartrosi può essere: preventiva, medica (generale e locale),chirurgica. Bisogna anzitutto ricordare quei provvedimenti generali tan­to trascurati nella pratica,quanto indispensabili dal punto di  vista profilattico  e  che vanno dalla riduzione del cammino, al riposo a letto per perio­di opportuni, alla correzione  dell'obesità tanto frequente in questi  pazienti.   Il trattamento medi­co sarà basato sullo  sfruttamento dei farmaci  antiflogistici e analgesici. 
La farmacoterapia della gonartrosi dispone di una lunghissima lista di preparati. E’ necessario ricor­dare che gli analgesici col prolungarsi del trattamento perdono buona parte della loro efficacia e che molti antiflogistici, e tra questi i più validi, hanno un gradiente di tossicità più o meno elevato.
La terapia cortisonica, largamente applicata, in passato, è oggi generalmente limitata alla modalità inflitrativa endo-articolare,che dà, soprattutto nei casi in cui la componente  flogistica è particolarmente attiva, ottimi risultati.
Tale terapia si associa generalmente all'evacuazione del versamento articolare.

CENNI DI  TERAPIA  CHIRURGICA

Un ginocchio artrosico rigido e dolente può impedire di svolgere le normali attività quotidiane, anche solo quella di camminare. Grazie ai nuovi materiali ed alle nuove tecniche chirurgiche, l’ortopedico oggi può ricostruire l’articolazione del ginocchio. Dopo un intervento di protesizzazione il paziente dovrà attenersi ad alcune limitazioni, ma potrà tornare a molte delle sue attività abituali.Con il termine “protesi di ginocchio” si intende la ricostruzione delle superfici articolari mediante componenti artificiali: delle tre superfici articolari del ginocchio che possono essere diventate ruvide e dolenti, può essere necessario ricostruirne una, due o tutte e tre. La chirurgia protesica di ginocchio è oggi sicura, sebbene il ginocchio sia un’articolazione  complessa.                                 
Gli interventi di protesizzazione del ginocchio possono essere effettuati mediante: Anestesia generale: un sonno indotto e mantenuto con farmaci che rende il paziente insensibile al dolore così da consentire al chirurgo l'effettuazione dell’intervento. 
Rachianestesia monolaterale: un’iniezione di anestetico effettuata a livello lombare attraverso un ago di piccolo calibro depone piccole quantità di anestetico nel midollo spinale.
Esistono delle alternative, infatti con le procedure più recenti quali ad esempio il trapianto di cellule cartilaginee o trasferimento osteocondrale (plastica a mosaico) .
La capsula articolare nella sostituzione completa dell'articolazione del ginocchio
Nei casi di sostituzione parziale dell'articolazione del ginocchio raramente viene eseguita la ricostruzione artificiale della superficie della capsula articolare. In base a delle statistiche internazionali, si può osservare invece che nel 50% dei casi di sostituzione totale dell'articolazione del ginocchio, viene sostituita anche la capsula articolare. L'immagine della risonanza magnetica qui sopra a sinistra fa vedere la dislocazione della capsula articolare del ginocchio e perdita completa della cartilagine in seguito a dislocazioni ripetute della capsula stessa. L'immagine a destra invece evidenzia il risultato raggiunto per mezzo del rilasciamento laterale, la plicazione mediale, l'artroplastica abrasiva e spostamento mediale della tuberosità. Si può vedere chiaramente la nuova cartilagine rigenerata.

TECNICHE CHIRURGICHE ADOTTATE PER LA CURA DELLE LESIONI CARTILAGINEE

Perforazioni: vengono praticati alcuni fori nella zona ove la cartilagine è danneggiata in modo da migliorare l’afflusso di sangue. Oggi non sono quasi più utilizzate poiché si è dimostrato che può essere controproducente effettuare profondi fori nell’osso.  
Condroplastica: mediante un’apposita fresa detta ‘shaver’ oppure tramite radiofrequenze vengono regolarizzati i margini della lesione asportando la cartilagine danneggiata. Si utilizza per le lesioni più superficiali.
Microfratture: tramite speciali strumenti appuntiti vengono praticate piccole microfratture nell’osso subcondrale in modo da creare una superficie ruvida che faciliti l’adesione del coagulo ed introdurre cellule mesenchimali, allo scopo di facilitare il rilascio di fattori ormonali (growth-factors). Vengono impiegate nelle lesioni cartilaginee di modesta profondità, e come primo trattamento poiché l’intervento è semplice e può essere eseguito in artroscopia.
Mosaicoplastica: quando la porzione di cartilagine mancante è più vasta ed il danno è profondo, si adotta questa tecnica che prevede l’asportazione di diversi piccoli tasselli di osso ricoperto da cartilagine (prelevato in una altra parte del stesso ginocchio) che vengono trapiantati creando una sorta di mosaicocomposto dai vari tasselli prelevati. Si utilizza per lesioni profonde e di diametro non superiore a 2cm. Richiede un attento programma riabilitativo ed un prolungato scarico dell’arto.  
Trapianto di condrociti: in tempi relativamente recenti, l’èquipe svedese del Prof. Peterson ha messo a punto un sistema di reinnesto di condrociti autologhi che ha dimostrato buoni risultati a lungo termine, nella riparazione della cartilagine. Il sistema consiste nel far crescere le cellule del paziente in laboratorio e nel riapplicarle, in forma di sospensione, all’interno del difetto, utilizzando un lembo periostale a tenuta ermetica per trattenerle in situ. I risultati con un follow up che oggi supera 5 anni sono incoraggianti e fanno ritenere il trapianto di condrociti una tecnica affidabile. La tecnica proposta da Peterson è però indaginosa e richiede una ampia incisione chirurgica per prelevare il lembo periostale e trapiantarlo a copertura del danno cartilagineo. Sono quindi state avviate nuove ricerche volte alla preparazione di biomateriali che potessero contenere i condrociti allevati in cultura. L’ingegneria dei tessuti è una tecnologia che permette di ricostruire un tessuto vivente, associando le singole cellule che lo compongono a biomateriali che forniscono il supporto idoneo alla crescita delle cellule. Oggi è possibile effettuare un prelievo di cartilagine in artroscopia in zone di non carico, porre le cellule in cultura e creare un sostituto cartilagineo autologo. E’ però necessario un secondo intervento a distanza di circa 1-2 mesi per effettuare il trapianto del biomateriale e colmare il difetto cartilagineo. In questi casi la riabilitazione dovrà essere molto attenta rispettando la zona di trapianto e le attività sportive potranno essere riprese non prima di 12 mesi. 

USURA DELLE CARTILAGINI

Osteotomia si basa sul presupposto fondato,  in varismo o in valgismo del ginocchio, con una ripartizione ineguale del carico. L’osteotomia, generalmente in sede tibiale, può ristabilire il normale equilibrio del carico  e far scomparire  il dolore.
Protesi totale o monocompartimentale di ginocchio che sostituisce la cartilagine ormai inesistente. E’ costituita da due componenti metalliche che sono ancorate all’osso e da una componente centrale in “plastica” polietilene che ne permette lo scivolamento.

MECCANICA ARTICOLARE

II ginocchio è  l'articolazione  che principalmente lavora  contro il  potere della  forza  di gravità.   Infatti, durante il passo  e nella posizio­ne statica il peso del  corpo si scarica  sul ginoc­chio in modo tale che, all 'articolazione  è  richiesta la massima  stabilità. Tale  articolazione pre­senta un robusto  apparato  legamentoso  che non per­mette movimenti   di  lateralità. Alla  funzione  stati­ca è  legata la funzione importantissima della deambulazione. Tale funzione inizia, quando  l'altra cessa infatti, l'arto inferiore viene  sollevato dal piano di appoggio  e nel ginocchio  si   compie un mo­vimento. Nasce quindi la necessità  che  il movimento, partendo dall'atteggiamento più  conveniente per la funzione  statica, si  svolge in  senso unidirezionale, nel piano  sagittale. Inoltre nell'articolazione del ginocchio, esiste anche un movimento  di  rotazione  del­la tibia attorno  all'asse  diafisario, per poter adat­tare durante  la fase  di   oscillazione  dell’arto, il piede alle asperità del terreno. Gli  elementi  anatomici  dell'articolazione,che  è una condiloartrosi, sono dal punto  di  vista  osseo: il massiccio dei   condili  femorali,  i  patti  tibiali  e la rotula.Tra le glene tibiali e i condili  femorali, che per la loro conformazione non sono congruenti, si trova­no i menischi  i quali sono disposti  in modo  da  com­pletare le due superfici  articolari, rendendole  congruenti.
I movimenti  del ginocchio  avvengono  su due piani: il piano  sagittale per la  flesso-estensione, il piano orizzontale per la rotazione. Gli  assi   sono:quello orizzontale  e quello verticale,  perpendicolari  fra di loro. Secondo Bonnet  la posizione di riposo del ginocchio, è quella di minor tensione  della  capsula articolare, corrispondente a  circa 20°-30° di  fles­sione. Per la valutazione  di tutti i movimenti  la posizione  di  partenza  o posizione  O, corrisponde all'atteggiamento  di   descrizione anatomica  e cioè,l'as­se del femore  e  quello della tibia, sul  piano  sagit­tale formano un angolo di 180°, mentre l'asse femora­le e l'asse tibiale sono angolati tra loro di circa 170° sul piano  frontale.  
Si  osserva quindi un valgismo fisiologico tra femore e gamba.      
                                                     
MOVIMENTO DI  FLESSO-ESTENSIONE

II movimento  di  flesso-estensione avviene sul piano  sagittale intorno  ad  un'asse  trasversale che passa per i  condili femorali. E’  un movimento combinato  di  rotolamento  e  scivolamento  dei   condili femorali sulle superfici articolari  della tibia. In­fatti, da O a  20°  di  flessione, si  ha un movimento di rotazione di condili  femorali  attorno al proprio asse, mentre da 20° in poi si  ha un movimento di sci­volamento delle superfici  articolari. Con questo movimento  combinato si realizza un movi­mento molto  esteso. Infatti solo  con il  sovrapporsi dei due tipi di movimento si  può  ottenere che il profilo dei condili femorali tocchi   con tutti i suoi punti, successivamente, il piatto  tibiale che è molto ampio. Il limite  estremo  dell'estensione è  dato dal raggiungimento dell'angolo piatto  tra  le  diafi­si del femore  e  della tibia  sul piano sagittale. A questo punto  si  assiste all'improvviso blocco del movimento, perché  i  condili  femorali "battono  sui  mar­gini  anteriori  dei  menischi; la  capsula posteriormen­te entra in tensione  e  così pure  entrano in tensione i  legamenti  collaterali  e i  legamenti   crociati che si tendono con la rotazione. La flessione arriva fino a formare un angolo tra  diafisi  femorale  e  tibiale  di 50° sul piano  sagittale e cioè, il movimento di fles­sione ha un'ampiezza di 130° attivamente, mentre pas­sivamente tale movimento raggiunge un'escursione di circa 140°. Una flessione  completa, cioè che porti a contatto le due diafisi  femorale  e  tibiale, non si può mai ottenere poiché questa viene impedita dai menischi che si   comprimono tra i capi articolari, dalla tensione dei  legamenti crociati  e dalla parte anteriore della  capsula. I menischi  servono  a  colmare  lo  spazio  dotato all'in­congruenza delle  superfici  articolari  femoro-tibìali; inoltre attutiscono tutte quelle azioni quali: pressione, torsione, stiramento  cui  sono sottoposti. Nel movimento di flesso-estensione,  i menischi  subiscono un leggero  spostamento sulla tibia; modifican­do parzialmente  la loro  forma. Nella flessione i menischi si   spostano verso l'interno,  sul piatto tibiale e si  avvicinano l'uno all'altro. Nell'estensiòne i  condili, con il  loro movimento di rotolamen­to  e  scivolamento in avanti,  spingono  i  menischi davanti  a loro. La rotula nella flessione, si spo­sta in basso  e ruota fino a porsi  in contatto con i  condili  femorali e con la linea intercondiloidea. La congruenza migliore per  le  superfici femorale  e rotulea si ha a ginocchio flesso di circa  90°; con una ulteriore flessione; la rotula si sposta late-ralmente e questo movimento è limitato dal margine del condilo. Durante i movirnenti  di  flesso-estensione il rapporto assiale  tra femore  e tibia varia nel senso che, ad una flessione massima  corrisponde un avvicinamento  del piede alla linea mediana, dovuta ad una rotazione automatica della tibia sul femore. Viceversa, nell'estensione, il piede si al­lontana dalla  linea mediana, cosicché il ginocchio raggiunge la posizione di valgisimo fisiologico men­tre la tibia ruota automaticamente al-l’esterno.

MOVIMENTO DI  ROTAZIONE

II movimento di rotazione avviene attorno ad un asse sagittale della tibia, sul piano trasversale  o  su quello orizzontale. E’ un movimen­to attivo e passivo; il primo molto più limitato  del secondo. Durante la rotazione esterna, mantenendo fisso il femore, mentre il piede ruota all'esterno si può osservare che la tuberosità esterna della tibia e la testa del perone ruotano posteriormente, mentre la tuberosità mediale  si   sposta in avanti. L'inverso avviene nella rotazione interna della gamba. Quando è fissa  la tibia, e il femore che può  compiere questi movimenti di  rotazione  a ginocchio  completamente esteso, per tensione  dei legamenti crociati, ma si cominciano  a verificare tali movimenti, quando il ginocchio è flesso a una decina di gradi di flessione; l'atteggiamento più favorevole  è quello fra i 40° e i 90°. La possibilità dei movimenti di rotazione è  pro­porzionale al grado  di detensione  dei  legamenti e in particolare del collaterale mediale. Nella po­sizione più favorevole, il movimento completo di rotazione può  raggiungere  400-50°. E’ importante ricordare  che il movimento di rotazione è soprat­tutto un movimento passivo; il grado  attivo non supera perciò  i I0°-I5° di  rotazione totale. Inoltre il movimento di rotazione rappresenta un movinento  complementare nella flessione del ginocchio quando dalla posizione eretta si passa alla posizione accovacciata.

MOVIMENTI  PASSIVI

Sono quei movimenti  che  sono  possibili  nel ginoc­chio con un movimento puramente passivo, essi  sono:
1) movimento di lateralità;  avviene  su un  piano frontale. A ginocchio esteso sono possibili    mo­vimenti solo per 2°-3°a ginocchio flesso a  90°, si possono provocare  dei movimenti  di  lateralità, per un’ ampiezza di  I0°-20°.           
2) movimenti  antero-posteriori; si svolgono su un piano sagittale e sono possibili a ginocchio  este­so. In flessione  sono possibili solo per 2-3 mm. Se  oltrepassano  tale  grado diventano movimenti pa­tologici, dovuti ad un’ insufficienza  dei  legamen­ti  crociati: è il noto segno del "   cassetto".

TRATTAMENTO RIEDUCATIVO

La necessità dell'impiego  della fisiochine-siterapia, nella gonartrosi, si  presenta  in associazio­ne agli altri presidi medici  e nella preparazione e nel decorso post-operatorio  di  interventi chirurgici sull’  articolazione.  In ambedue i   casi  la presenza  della  chinesiterapìa appare indispensabile per la buona realizzazione  e il completo sfruttamento  delle possibilità  che  one­sto trattamento presenta.  Si  possono usare  con ef­ficacia tutti gli strumenti della terapia fisica quali: calore  endogeno,  calore  esogeno,  elettrote­rapia, idrokinesiterapia, massoterapia,   chinesiterapia, che è di importanza fondamentale per migliorare l’ articolarità.  E’ importante ricordare  che nei gonartrosici  è  assolutamente inutile ricercare un recupero funzionale  completo,  ma è  comunque neces­sario riacquistare il  cosiddétto  settore utile del raggio di escursione articolare  che è  compreso tra i 180°  e i  90° .Obiettivi  generali   del trat­tamento fisiochinesiterapico  della gonartrosi saranno:

 1)  vincere il  dolore  che in  questo ca­so può interessare  3 stadi:
        a) a livello  dell'appa­rato muscolare, dovuto a  contratture muscolari riflesse;
        b)a livello tendineo, e interessa l'inserzione muscolare;   
        c) a livello articolare, e può interessare la componente scheletrica,
            oppu­re può essere causato da un  edema  capsulare.

2)  Eliminare l’eventuale idrarto.  

3)  Ridurre  il sovraccarico articolare.

4)  Recuperare il massi­mo dell’ escursione articolare. Se la limitazione non è determinata da un proces­so osteofitico, allora può essere dovuta:
- a retrazioni   capsulo-legamentose  e muscolari; e contratture muscolari.
- a perdita dell'elasticità  capsulare;
- a incongruenza delle  facce articolari,
- ad atrofia muscolare.

5) Conseguire il massimo potenziamento muscolare;

6) ridare la maggiore  stabilità possibile alle articolazioni;  

7) agire  sulle turbe vascolari venose;

8)  compito importante  del  trattamento  fisioterapico è quello di evitare atteggiamenti  articolari  anti­funzionali (flessioni) e  di  ripristinare il  tono tro­fismo quadricipitale,  infatti  il quadricipite fun­ziona bene quando può usufruire  della massima pos­sibilità di scivolamento.

Basta però una minima ade­renza per influenzare  questa  sua possibilità di scorrimento.Tale limitazione  dell'estensibilità e della elasticità del retto anteriore determina: 
una tendenza all'ab-duzione, una tendenza alla fles­sione dell'anca; il quadricipite non partecipa ad al­cuna azione nella  stazione ortostatica, molto poco interviene nella marcia su terreno piano, molto invece nella corsa, nel salto, nella salita. Nel re­cupero dell'attività quadricipitale, è necessario tener presenti le seguenti componenti: 
 potenza di contrazione: è in rapporto diretto al volume del muscolo. Il suo ripristino si ottiene con esercizi di contrazione contro resistenza, tenendo presente che non è tanto la ripetizione di esercizi a basso sforzo, bensì la sollecitazione del massimo che tende a ripristinare il volume muscolare, e con esso la po­tenza. 
 La velocità di contrazione e coordinamento è rappresentata dal tono che facilita l'immediata ri­sposta del muscolo alle stimolazioni articolari. 
Resistenza allo sforzo: caratteristica dovuta alla capacità del muscolo di ripetere molte volte lo stesso movimento senza stancarsi, è legata alle possibilità respiratorie e circolatorie del mu­scolo. Si ottiene con la ripetizione di esercizio a basso sforzo. Le caratteristiche da dare alla ginnastica del quadricipite e degli altri muscoli del­l'arto interessato sono un'intelligente gradualità, la ritmicità, la progressione e la variabilità.
 Siè già accennato alla necessità di  ostacolare  con ogni mezzo la retrazione  del ginocchio  in  flessione: ciò si ottiene soprattutto col mantenere  efficiente il muscolo quadricipite anche con esercizi di postu­ra. Relativamente meno grave è un deficit  flessorio in quanto non ostacola la deambulazione e non peg­giora l'artrosi. Sono  tuttavia utili esercizi posturali in flessione  e  sedute di mobilizzazione dell'ar­ticolazione in  scarico (es: pedalare nel vuoto in po­sizione supina). Il trattamento rieducativo terrà conto delle fasi  della malattìa. 

          FASE ACUTA

 In questa fase si fa largo uso del massaggio per migliorare il tono-trofismo dei mu­scoli della coscia. Il massaggio, se accuratamente condotto, può essere utilizzato per la risolu­zione del versamento. Il massaggio inoltre può es­sere utilizzato per combattere le turbe vascolari venose, le quali, generalmente, concorrono ad aggra­vare la situazione artrosica; va fatto in maniera circolare, partendo dalla pianta del piede, specie in coloro che camminano poco. In assenza di versa­mento, l'elemento principale del trattamento rieducativo, è la mobilizzazione attuata nelle sue forme: passiva, attivo-coadiuvato, attiva.

Alcuni esercizi di mobilizzazione passiva possono essere

1) Paziente supino, gambe piegate. Il terapista impugna la gamba malata sotto il ginocchio ed effettua il movimento a cassetto ovvero muove la tibia sul piano orizzontale, in avanti ed indietro.

2) Paziente supino, gamba malata piegata. Il terapista con una mano afferra la coscia sopra il ginocchio tenendo quindi la gamba sospesa, mentre con  I'al­tra mano, impugnando il piede della gamba stessa, effettua l' intra ed extrarotazione della medesi­ma.

3) Per lo stiramento del quadricipite: pazien­te in decubito laterale sano, gambe flesse. II t. con una mano posta sul grande gluteo blocca posteriormente il bacino, con l'altra afferra la coscia a livello del ginocchio tirando la coscia stessa indietro e spingendo avanti il bacino. Seguiranno quindi contrazioni isometriche del quadricipite, degli abduttori, del grande gluteo.

FASE CRONICA

scomparsa la sintomatologia dolorosa e l'eventuale versamento,  posto rimedio al sovrac­carico articolare,  migliorata la situazione vascolare, si può procedere: 
1) al recupero o migliora­mento della funzione articolare; 
2) al recupero del­la stabilità articolare;
3) al riadattamento allo sforzo. Qui si fa uso degli   strumenti   classici: terapia fisica,
 posture( Meziérès, Feldenkrais) mobilizzazione  passiva, attiva-coadiuvata in scarico, attiva, attiva con­tro resistenza.

TERAPIA FISICA

Si  fa largo uso dell'idrokinesiterapia, della termoterapia esogena  ed  endogena (radar); il calore trova un'in-dicazione  elettiva nella gonartrosi per le sue  capacità di attivare il meta­bolismo locale. Si utilizza pure l'elettroterapia con la galvaniz­zazione e la ionoforesi.

MOBILIZZAZIONE

 Si divide in 4 fasi:

 1)  lavoro posturale,

 2) lavoro in scarico,

 3)  lavoro isometrico,

 4) lavoro controresistenza. Importante è il recupero dell'estensione  comple­ta per ovviare alle turbe di  carattere  statico-dinamico. Si ricorre quindi alle posture  e al lavoro intenso del quadricipite. Nel  trattamento di una gonartrosi di lieve o media entità, il  lavoro in scarico assume un ruolo  di  primaria importanza per­ché:
  • consente lo  scivolamento delle facce articolari fra loro, favorendo l'azione del liquido  sinoviale, l’ elasticità degli elementi periarticolari  e l'al­lungamento continuo dei muscoli,
  •  permette un modesto lavoro muscolare degli  agonisti  e degli  antagonisti  e  ciò però, oltre  che  fa­re riacquistare il  senso muscolare  con  l'alternanza della contrazione  e decontrazione  favorisce anche la risoluzione  di  eventuali   contratture;
  •  favorisce l'azione di allentamento  elastico dei componenti  tendineo-capsulo-legamenatose  che  sono andati incontro a fatti retraenti. Il lavoro iso­metrico favorisce una ripresa accelerata del tono trofismo muscolare. Ne è la prova che tale metodo di lavoro viene ampiamente adottato anche nel campo sportivo. Il trattamento fisiochinesiterapico si sviluppa con adeguata progressione:
 le  contrazioni  isometriche per suscitare il senso muscolare e la  localizzazione dei muscoli che deb­bono lavorare;

la flesso-estensione in  scarico:
Il ginocchio viene  trattato nei  3 decubiti; supino, prono, seduto con  gamba pendente dal bordo del letto.

LA GINNASTICA IN ACQUA
PRIMI 15 GIORNI

Esclusivamente lavoro in scarico
Tenendosi al bordo della piscina, effettuare con l’arto operato una serie di slanci ad arto teso nelle 4 direzioni. (avanti e indietro, in dentro e in fuori)

Appoggiando la schiena al bordo, o utilizzando un salvagente che sorregga il corpo, effettuare con l’arto operato la bicicletta con ritmo e ampiezza crescente.
Utilizzando un salvagente o una tavoletta galleggiante, effettuare delle spinte dell’arto operato verso il fondo della piscina con la tavoletta posta sotto la pianta del piede.
Tenendosi al bordo della piscina, effettuare dell’arto operato sullacoscia e flessioni dell’anca.

DOPO I PRIMI 15 GIORNI

 si possono aggiungere anche i seguenti esercizi
Seduti con il ginocchio operato in immersione (sulla scaletta o su uno sgabello) effettuare estensioni della gamba (facilitate dalla spinta idrostatica) e flessioni (contrastare dalla spinta idrostatica)
Si possono iniziare i primi esercizi di sensibilizzazione all’appoggio come spostamenti del carico (massimo del 20%) del proprio peso corporeo, in avanti e lateralmente.
  Il ritmo dell’esecuzione dell’esercizio della bicicletta può aumentare.
Effettuare slanci sul piano frontale e sagittale ad arto teso

DOPO 4 SETTIMANE
  (Salvo indicazioni differenti del chirurgo)

 Camminare avanti e indietro
 Effettuare mini squat
 Effettuare mini affondi, in avanti e lateralmente
 Elevazioni sugli avampiedi
Osteotomia
L'intervento al  ginocchio, specie  se si tratta di osteotomia comporta  sempre una  cer­ta modificazione  statico-dinamico,   per  cui  la  chi­nesiterapia  si  rende d'obbligo sia nella fase di preparazione  all’intervento  stesso  con  fisiochinesiterapia per migliorare  la vitalità e  la  funzionalità dei vari componenti  articolari, sia nella  fase post-intervento  con una accentuata rieducazione  funzionale. In genere  si usano i  seguenti  elementi  della fisiochinesiterapia in  successione:

 idrokinesiterapia
            
lavoro in  scarico  
 esercizi  isonetrici            
andatura alle parallele
 andatura  con  stampelle  con    carico progressivo  se­condo le indicazioni del medico, lavoro di  flesso-estensione  con graduale resistenza.

Talvolta o per contrattura del quadricipite, di massima legata alla paura del dolore da par­te del paziente, o per la presenza di aderenze, può prospettarsi una limitazione nel senso della flessio­ne . Per rimuoverle si dovrà fare ricorso alla postura.


 
Dott.ssa A. M. Cristina Iannuzzi Osteopata Posturologa cell. +39 3288172683 
 
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